mercoledì 14 gennaio 2015

Je suis Catherine Deneuve

I bravi disegnatori, e le brave persone, in questi giorni, si dividono in due macrocatergorie: quello che sono Charlie Hebdo e quelli che sbandierano di non esserlo aggiungendo a una discussione su una vicenda già complessa, una dissertazione altrettanto complessa su cosa sia la satira e su come la si debba fare, con quanti e quali paletti.
La faccenda, come tutte quelle che coinvolgono violenza e politica internazionale è, ripeto, estremamente complessa e probabilmente ne conosceremo gli aspetti più reali tra parecchi anni, se mai li conosceremo, ma nel frattempo io in sento Charlie Hebdo.
Gli unici due protagonisti certi di questa storia sono la paura e dei disegnatori morti, per questo io mi sento Charlie: nella maniera più semplice e banale possibile, per come mi sento vicino a quelli (che non oso chiamare colleghi, non faccio satira e non sono neanche lontanamente al loro livello, sono loro collega come posso essere collega di quelli che fanno i paesaggi all'interno delle pizzerie) che sono morti ammazzati per aver disegnato, non costruito bombe, non smerciato armi o organi di bambini, disegnato. Mi sembrerebbe logico e doveroso che lo fosse chiunque abbia mai tenuto una matita in mano.
Sul resto, poi, si può discutere. Sulle idee, sulle opportunità, sulla libertà, sull'immigrazione e l'integrazione, sullo sciacallaggio dei media e di alcuni politici, ma non è questo il luogo.
Di getto ho disegnato questo, tentando di sintetizzare quello che, secondo me, dovremmo continuare a fare. Ridicolizzare con le nostre armi la paura, l'uomo nero, che sia armato di kalashnikov o di idee liberticide, che sia fuori o dentro di noi. Del resto, sono caduti molti più re nudi che in armi.


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